Kintsukuroi è l’arte giapponese di riparare la ceramica con l’oro. Ha un doppio scopo: da una parte rende l’oggetto rotto nuovamente usufruibile, dall’altra lo rende più prezioso. Ed è con questo nome che Rebi Rivale ha voluto intitolare il suo nuovo e bellissimo lavoro in studio. Kintsuroki diviene così una sorta di allegoria. Della vita di Rivale, certo, ma in fondo di tutti noi. Come in una sorta di riflesso pavloviano non possiamo non ritornare con la mente al celeberrimo verso di Leonard Cohen, “C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce (da Anthem). Ma se per Cohen è la crepa - ovviamente metafora del dolore - che ci fa giungere alla luce, per la cantautrice friulana la luce si trasforma in oro e il dolore in spinta a cambiare ad evolvere. Insomma, come si sarà capito per la prima volta - o quanto meno come mai aveva fatto in maniera così diretta - Rivale in Kintsukuroi mette da parte le tematiche sociali che avevano caratterizzato i suoi lavori precedenti per parlare di se stessa. Per mettersi a nudo. Il narratore esterno diviene interno, dalla terza persona si passa alla prima; qui non si parla di avvenimenti accaduti ad altri ma a se stessa. Un disco intriso di dolore ma anche - paradossalmente - di felicità, perché appunto solo attraversando quel dolore si può (se solo si riesce) a compiere un balzo coscienziale e diventare altra persona. Di conseguenza Kintsukuroi è anche un disco ossimorico, dove il dolore è anche felicità. Così come ossimorica pare la foto di copertina, dove una ridente Rivale si mostra all’interno di cocci rotti e riattaccati nella loro giusta posizione. Ma la copertina va ben oltre, perché a ben gua rdare la figura della cantautrice in realtà indossa diversi abiti. Quindi la rottura comunque vuole essere ben evidenziata. Insomma, come canta in Sparsa, tutti noi subiamo prima o poi delle lacerazioni interiori. Brandelli del nostro essere sembrano strapparsi senza più possibilità di ricomporsi. Qualcosa inevitabilmente resta indietro, qualcosa evolve in altro: “Una parte già oltre l’ostacolo/ l’altra non si è mai mossa”. Certo, essere sparsi e ancora non ricomposti è un poco attraversare la Terra di nessuno in cerca di un equilibrio che alle volte non sempre si dà anche se la strada va comunque percorsa: “In questa ricerca di un equilibrio/ in questa paura di un equilibrio/ io vado”. Intendiamoci, non mancano brani più “sociali” come La mia vita precedente (vincitrice - ed è il suo terzo brano a farlo - del premio Walk on Rights - Amnesty International 2019) o L’occasione persa scritta durante il lockdown. Ma anche in questo caso il tutto è raccontato in prima persona. Musicalmente prevalgono senz'altro le ballate “cantautorali” che vedono, tra gli altri, la preziosa presenza al contrabbasso di Filippo Tantino, alla chitarra acustica di Paola Selva e alla tromba di Mirko Cisilino; ma non mancano inserti reggae (Prima o poi), rock (Sparsa) e persino blues (Chameleon blues). Chiude il tutto, poi, un altro piccolo gioiello, la dialettale Fasin un cjant interpretata con l’amica - e altra straordinaria artista - Elsa Martin. Notevoli, infine, i testi che non cadono mai nel retorico o, peggio, nel pietismo, tra sommesse figure retoriche di grande effetto, come la personificazione che diventa metafora (“La storia tiene i suoi registri/ e resta sveglia a vigilare/ ma il tempo lava i suoi ricordi/ e poi la stende ad asciugare/ così una lacrima era un pugno/ e un pugno è stato una preghiera”) e metonimie dal vago ricordo leopardiano (“Che notte di note piccole/ in punta di dita suonate su corde sudate”... con un possibile, oltretutto, rimando a Claudio Baglioni). Kintsukuroi ha anche un importante risvolto ecologico. La cantautrice, infatti, ha deciso di non dare alle stampe un CD fisico, ma una chiavetta USB in materiale riciclabile. Così come è pubblicato sui carta ecologica il booklet; il packaging davvero bellissimo, infine, è realizzato dagli artigiani del progetto Scarta per un riutilizzo dei materiali. Insomma, chi aspettava Rivale al varco dopo gli ottimi lavori precedenti è accontentato, perché questo Kintsukuroi dimostra, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la sua assoluta maturità artistica. Un vero gioiello. Andrea Podestà